Carmine Tripodi aveva ventiquattro anni, era campano e quando è stato ucciso comandava da tre anni la Stazione dei Carabinieri di San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Il 6 febbraio 1985 viene trucidato lungo la strada provinciale ionica, quella stessa strada in cui ogni giorno cerca i sequestrati. E’ già morto quando per spregio gli urinano addosso. Per il delitto non pagherà nessuno.Un lungo elenco di uomini, donne e bambini e il mestiere Tripodi lo impara sul campo. L’8 gennaio 1982 da comandante entra nella caserma di San Luca e i fascicoli sul tavolo sono tanti, c'è la storia di quell'ingegnere napoletano, Carlo De Feo, rapito a Casavatore nel gennaio del 1983 e liberato un anno dopo a Oppido Mamertina e c’è l’universo degli Strangio, con particolare riguardo per i figli di quel "Ciccio Barritta" in carcere per il sequestro di Giuliano Ravizza, il re delle pellicce.“Quando nel giugno del 1984 a San Luca scatta la retata contro i presunti responsabili del rapimento di Carlo De Feo, sono i poliziotti ad ammanettare, tra gli altri, Antonio, Domenico, Sebastiano e Salvatore Strangio (gli indagati per il sequestro sono 39) ma che dietro il blitz ci siano le indagini del brigadiere nessuno lo ignora. Stessa storia per i nuovi arresti sul sequestro Ravizza. Il 5 febbraio 1985 Carlo De Feo torna a San Luca con il magistrato napoletano Armando Lancuba, il giudice istruttore Guglielmo Oalmeri e gli avvocati di parte. L'ingegnere riconosce luoghi, ricorda situazioni. Vengono sequestrato ovili e arrestati presunti fiancheggiatori. Carmine è in testa alla colonna, al fianco di De Feo”. (Francesca Chirico su stopndrangheta.it)
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